Non tutte le parolacce possono portare a conseguenze legali. Ecco quali insulti diventano reato e quali non sono punibili.
A chi non è mai capitato, anche in situazioni non così drammatiche oppure ostili, di trovarsi faccia faccia con qualcuno e scambiarsi qualche “parolina” di troppo? Basta visitare i grandi spazi di aggregazione, dove può crearsi facilmente tensione che, a volte, porta a scambi di battute non troppo simpatiche.
Ma quando si rischia qualcosa a livello legale? A seguito della decisione della Cassazione alcuni insulti diventano reato, mentre altri non comportano conseguenze. Ma andiamo a vedere meglio la questione.
Quando la vittima di un insulto o di una parolaccia non è affatto deciso a lasciar correre è assolutamente possibile che le parti vadano a finire in tribunale davanti ad un giudice. In molti casi, infatti, possono scattare denunce e condanne per ingiuria o diffamazione.
In quest’ultimo caso si tratta di un’offesa pronunciata in assenza della vittima e davanti ad almeno due persone. Mentre nel caso dell’ingiuria si tratta di un’offesa rivolta direttamente alla vittima. In entrambi i casi gli insulti possono essere rivolti in forma scritta, orale o mediante strumenti telematici, come i social.
Tuttavia, se la diffamazione è intesa come vero e proprio reato, l’ingiuria non lo è più da ormai il 2016. Nel caso di diffamazione è necessario depositare una querela e, se vi è un processo penale è possibile che la vittima possa ottenere un risarcimento del danno. Se, invece, si parla di ingiuria, è possibile chiedere il rispetto dei propri diritti solo in sede civile. Tuttavia, risulta molto più difficile dimostrare ingiuria, se non ci sono prove scritte, testimoni o registrazioni. In caso di condanna, le sanzioni possono andare da 200 a 12.000€.
In caso di torpiloquio – che prevede l’utilizzo contrario alla pubblica decenza in luogo pubblico – non è prevista una sanzione penale, ma può invece manifestarsi una sanzione pecuniaria, che va da 5mila a 10mila euro. Tuttavia, secondo alcune sentenze della Cassazione esistono alcune parolacce che vengono ormai “fatte passare” con più facilità.
Tra queste troviamo la classica parola “Co**ne!”. Per la Cassazione può essere utilizzata solo nel senso di ingenuo, sprovveduto, scemo. Anche “Va**lo!” è una parola entrata ormai nel lessico comune. Secondo la Cassazione non si tratta nemmeno più di ingiuria. Non è punibile nemmeno “Rompi**le!” se il senso è quello di seccatore. Mentre c’è il via libera anche per parole come “Mi hai rotto i c**ni!” – se il senso è quello di comunicare fastidio – e “Ca**ate” ormai entrata nel lessico comune.
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